MILO DE ANGELIS
sette poesie da 'Quell'andarsene nel buio dei cortili'
MILO DE ANGELIS - L’ULTIMO GRADO DEL GIUDIZIO
Sette poesie da ‘Quell’andarsene nel buio dei cortili’ (Mondadori, Lo Specchio 2010)
regia immagini fotografia montaggio suono STEFANO MASSARI
© 2010 CARTA|BIANCA durata 14 min. circa
C’è, costante, almeno in un sottofondo continuo, una musica di pietà, nel senso di cor- responsabilità, nei versi che Milo De Angelis scandisce in questo video, ma non c‘è, per contro, nessuna pietà nelle immagini di Stefano Massari.
Mentre la vita si smarrisce nelle strade chiedendosi dove batte il cuore di chi è perduto, ascoltiamo dalla voce del poeta, dal video scorrono occhi sgranati quasi eiaculati da parti di volti appena allusi, quasi a dire: il peggio è di là e non è ancora l’ora di farvelo vedere, se poi quest’ora verrà mai. E allora ecco le ombre che sfumano nel chiarore chiarissimo della sfondo, anche qui in un’allusione angosciosa che sembra dire: questo è solo il fan- tasma, fumo del raccapriccio che io ho visto, più in là, e ripreso.
Il video De Angelis/Massari vive nell’incontro di due autorialità diverse (ma non divise perchè ciò che vedono è lo stesso panorama) che costruiscono un congegno artistico comunicativo autonomo: non è poesia commentata da immagini, non è immagine che succhia senso, come un vampiro sangue, dalla poesia. Esplorano un comune territorio, i due autori, e si parlano: la terra appartiene a chi l’ha abbandonata legge il poeta e una goccia, che non può essere che cattiva, striscia lo schermo.
Vediamo molti oggetti, nelle immagini di Massari, e poche persone quasi a suggerire che la melodia delle parole che per se stessa è un linguaggio già decifrato, possa depistare dalla realtà. Ecco allora che i due autori certi cano che la realtà è solo un approssima- zione, che l’obiettivo dell’arte viene prima,nella ricerca o dopo, nel costruire un’etica su un bersaglio (la realtà, appunto) che non si può che mancare o che non può che tradire. “Le tacite imprese per la comprensione del linguaggio comune - ha scritto Wittgenstein - sono enormemente complicate”.
Pier Damiano Ori